Sognando una vita comunitaria
Riflessione sul lavoro in comunità e 12 parole di potere
Da tempo l’individuo ha smesso di fidarsi della comunità. Tanti i motivi per cui questo è successo.
Storici, politici, sociologici, economici, spirituali…..
Da tanti anni viviamo un risveglio lento ma progressivo verso forme comunitarie e scelte di ritorno alla terra. La pandemia sembra aver accelerato le scelte, aumentando la forza del proprio sentire e l’impatto delle proprie azioni coraggiose in questa direzione.
Tantissimi possono essere le ragioni per scegliere di abbandonare la città o il condominio dove si abita e aprirsi a ripopolamento di borghi, ruderi o fare comunità in piena natura. Ho desiderio di portare un’istantanea umile e assolutamente non esaustiva di quello che mi naviga dentro, parlando di qualche motivo per cui vale la gioia provare a fare il salto.
Spesso in questi 2 anni, in contesti molto variegati tra loro, ho sentito ricorrente la riflessione per cui vale la pena vivere una vita pienamente e che non bisogna lavorare per sopravvivere ma si per vivere.
Quante riflessioni interessanti si possono fare sul lavoro e sui nuovi scenari che apre la vita comunitaria. Sento una profonda liberazione e conquista dell’uomo: emanciparsi dal dovere di arrivare ad uno stipendio a fine mese; dal dire si ad un lavoro che stai facendo per comodità magari perché ti è arrivato o perchè non hai forze per cercarne un altro più adatto a te; oppure dal mettere tanto acume sul lavoro perché così deve essere, imparando l’efficienza, la velocità, il risultato produttivo.
Di per sé nessuno di questi aspetti sono negativi, soprattutto se poi rendono la persona entusiasta e motivata. Purtroppo molte persone della nostra epoca si sono ammalate dentro, dalla somma di doveri e fatiche moltiplicati su di sé. L’idea di PIACERE nelle nostre vite è troppo spessa rilegata nel tempo “libero” (da notare il fatto che così dicendo si fa notare che il resto del tempo quindi non lo sia e perché mai non dovrebbe esserlo pur lavorando).
Uno spazio comunitario è per molti vissuto come nuova ri-organizzazione e sperimentazione degli assetti di potere, talenti, piacere – dovere.
– Un passaggio interessante che può avvenire è trasformare i rapporti interni di potere dal meccanismo conosciuto capo-dipendente dove la leadership è ristretta, ad una leadership più condivisa dove ognuno dei partecipanti è invitato ad assumersi la responsabilità del proprio potere. Riassaporare quindi pienamente la parola POTERE trasformando in “potere tra” o “con” anziché “potere su’”.
-Sperimentare il lavoro in comunità come un laboratorio fa cambiare sapore a tutto. Sentire che un luogo può offrirti la possibilità di SPERIMENTARE vari compiti e incarichi in aree diverse, e che magari puoi anche ruotare e darti prova di variare, apre uno scenario di potenzialità: quello del “giocare” con le tue doti o vulnerabilità. Imparare ruotando più ambiti (nel caso del Pianeta Verde alcuni esempi: l’agricoltura, la cucina, l’accoglienza, l’artigianato, la bioedilizia, la formazione e l’accoglienza). In questo scenario si sperimenta un’accezione nuova al senso si lavoro, dando forza anche all’ERRORE, proprio come nel gioco, necessario per imparare qualcosa su di sé e sul mondo. Sperimentando, sbagliando, riprovando senza dover perdere la faccia o il luogo di lavoro o senza sentirti spesso immutabile in quella determinata area.
-Un altro passaggio importante è LIBERARSI da alcuni limiti mentali, dalla condizione di “ufficio” e di “capo” dentro di sé: ovvero non delegare all’altro la responsabilità del tuo successo o tuo fallimento. Non sei più una persona che esegue i compiti e le scadenze entro la fine mese perché lo “devi” fare ma perché lo scegli di fare. Cambia tutto. Attraverso un processo condiviso porti avanti delle attività o iniziative perché lo reputi importante per te o per gli altri che coabitano. Questo è un salto importante: ti fa assumere pieno potere di RESPONSABILITA’ e gioia di qualsiasi IMPEGNO FELICE (anche scomodo magari) che ti sarai preso.
Questo importante aspetto farà si che via via impareremo a non delegare il potere agli altri, ma riprendercelo sulle nostre spalle, riconoscendo man mano chi siamo veramente. Indagare in noi come ricercatori, senza attribuire colpe o meriti all’esterno, dalla famiglia, agli amici, al lavoro.
TALENTI, parola che sento sempre più spesso con mia contentezza, anche associata alla parola Daimon.
Perché da piccoli ci chiedevano cosa amavamo fare, individuando i nostri talenti e poi hanno smesso di farlo. Non sarebbe una grande ricchezza per l’umanità tutta continuare a farlo anche tra noi adulti, per sentirci sempre vivi e capace di vivere e creare ogni giorno come nuovo e irripetibile?
L’individuo umano è una persona in continua evoluzione e se smette di ricercare dentro di sé nuove possibilità e direzioni, lentamente muore. James Hillman spiega il Daimon con la storia della ghianda: “La ghianda, dal punto di vista della botanica, è una angiosperma, una pianta completa in embrione. L’essenza della quercia è già lì, presente nella sua totalità.”
La ghianda rappresenta il Daimon, la vocazione, il talento, l’anima, il destino ovvero l’essenza di ciò che noi siamo destinati ad essere. Ovviamente se il seme non viene annaffiato e nutrito muore ma, per tutta la vita, cercherà di farsi sentire, di esprimersi e di far sì che la tua unicità si esprima nel mondo.
La ghianda per poter diventare quercia ha bisogno di un terreno fertile e delle dovute cure. Il terreno fertile è la STIMA e la FIDUCIA che abbiamo in noi stessi. Una comunità sana dovrebbe avere il modo di parlarsi con verità e dolcezza (sempre più usata la comunicazione non violenta come strumento di facilitazione per fare progressi nei gruppi). Senza autostima il Daimon fatica a comunicare con noi perché deve combattere contro una forza che rema contro, deve combattere con quella voce che nella vita ci blocca o ci fa procedere a rallentatore. La voce che dice “sono un buono a nulla, non sono all’altezza, non ce la faccio”.
L’ AUTO OSSERVAZIONE è fondamentale per vivere bene con sé e con gli altri. Con umiltà aprirsi all’ascolto di sé, dove quello che non va bene non è da rimandare alle mancanze intorno a sè, ma ricontattando interamente la forza di cambiare il tuo dentro. Questo significa evolversi. Significa aprirsi ad un nuovo modo di vedere il mondo e contribuire a crearlo tu stesso questo mondo.
Abitare in comunità può aprirti a guardare meglio i processi interiori che ti abitano, farli divenire conosciuti e a volte condivisi per smussare i propri angoli del carattere, insieme. Stare in comunità significa aprirsi a delle relazioni più AUTENTICHE, meno ingessate in ruoli sociali, etichette lavorative, superando quel substrato di menzogne che spesso rende infelici e invece aprirsi ad un dialogo diretto, più genuino, spontaneo, riconoscendosi per le proprie vulnerabilità o talenti.
Nessuno dice che è facile o più facile, ma se senti di avere un richiamo verso questi processi interiori e queste parole di potere, l’invito è di concederti dei momenti di silenzio. Una ricarica in natura o luoghi che donano la sensazione di forza per incontrare tutto il coraggio che hai e fare il salto. (Magari proprio al Pianeta Verde!)
Chissà dove una comunità è alla ricerca di te e ti sta aspettando!
Aurora Jamuna De Simoni